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Tamerisco XIX

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XIX



In quei giorni decidemmo di non vederci più a casa mia. Per circa un mese i nostri incontri avvennero all’Hotel Amedeo: un piccolo albergo di quaranta stanze, una costruzione moderna tutta vetri e travi d’acciaio posta al limite della zona industriale. Ci si arrivava comodamente in autobus, la cui fermata distava dall’albergo duecento metri di strada asfaltata con un ampio marciapiede in porfido, costeggiato da capannoni industriali e negozi all’ingrosso. La stanza era piccola, ma con arredo molto funzionale: il bagno, in marmo rosa e nero con rubinetteria costosa perfettamente funzionante, era fornito di saponette, schiuma da bagno, shampoo, asciugacapelli e una gran quantità di salviette di cotone e carta igienica. Il letto era comodo e le lenzuola bianche erano anch'esse di un buon cotone. Percorrere quella strada insolita, quasi sempre deserta, mano nella mano, entrare nell’albergo dove ormai non ci domandavano più i documenti e ci davano sempre la stessa stanza, donava a quegli incontri un sapore di segretezza, d’avventura, che rinfrescava la nostra relazione, come la sfumatura di un sapore nuovo, a volte semplicemente alcune gocce d’aceto, basta a rendere nuova e interessante una pietanza  cui il nostro palato è fin troppo assuefatto. Passavamo moltissimo tempo, prima e dopo l’amore, a fare congetture. Non capivamo l’interesse dei criminali nei miei confronti, soprattutto dopo che avevo consegnato la lettera a Tango. Strano poi che Michele non mi dicesse nulla del contenuto di essa! Eppure eravamo usciti insieme parecchie volte, perfino con Adelina e Marta, sua ex moglie. Era nata tra noi una notevole amicizia e confidenza. Eppure lui era capace di parlarmi delle cose più intime, ma del suo lavoro e dell’affare Pietro non parlava mai. Se io facevo qualche tentativo di entrare in argomento, lui sorvolava arrotondando gli occhi incorniciati dalle sopracciglia folte, ciondolando il capo con aria distratta, come faceva sempre quando non voleva essere coinvolto nella conversazione. 

“Forse c’era l’elenco dei creditori di Pietro, oppure…”

“Mi sembra strano, diceva Adelina, per quanto grande sia la cifra, che questi si accaniscano a tal punto contro chiunque abbia avuto contatti con gli amanti diabolici.” Così chiamava Pietro e Susanna, ricordando un episodio di cronaca nera che tanto tempo fa aveva occupato le pagine dei quotidiani. “Deve esserci sotto qualche cosa di più grosso”.

Nella stanza c’era l’aria condizionata e Adelina si copriva col lenzuolo. Questo stuzzicava la mia curiosità. Avevo scoperto che accarezzare il suo corpo nascosto sotto il lenzuolo, iniziando dai piedi per risalire lentamente lungo le gambe e le cosce, scoprendole piano piano, era una manovra che mi procurava un gran piacere, un’eccitazione tanto più grande quanto più Adelina protestava che aveva freddo. Mi pareva di aver fatto un notevole passo avanti: amavo il suo corpo, l’armonia delle membra, la bellezza delle  forme, del suo viso. La mia anima baciava il suo corpo tenero e candido di creatura celeste. Passavo attraverso una nube di zucchero filato trattenendone il sapore dolcissimo. 

Lasciavamo l’albergo avendo pagato in anticipo il conto per una notte, come due amanti clandestini.








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